MONICA VENTURI
La pittura di Dina Cangi rimane costantemente in bilico tra due dimensioni: quella della realtà, dimensione muta ed immobile, e quella del sogno che tende a spezzare visivamente la quiete. Certo è che nonostante la palese ricerca di un ordine compositivo, di un essetto logico che regoli i rapporti tra e un elemento e l'altro della composizione, al di sotto della crosta dell'apparenze materica, nel disordine magmatico ed indefinio del suo immaginario fantastico, c'è vita nelle opere di Dina Cangi. Un impeto creativo volontariamente placato ma palpabile in tutta la sua irruena e la sua violenza. La pittura dell'artista toscana penetra nelle profondità più nascoste ed insondabili dell'animo umano. La ricchezza più o meno riconoscibile è quella lontana, imprecisa immaginaria del sogno. I soggetti dei suoi dipinti si manifestano ora nel loro nitore, ora avvolti da atmosfere brumose, quasi liquide che ne sfumano i contorni, ne smorzano i contrasti cromatici, ne mettono in rilievo, attraverso una delicata quanto precisa modulazione, senza bruschi cambiamenti tonali, il passaggio dalle ombre alla luce.
Guardare le opere di questa artista è come togliere lentamente un velo dalla superficie del mondo, come soffiare via lo srato di polvere dagli oggetti riportandone di nuovo in vita le sembianze in tutta la loro limpidezza. L'universo di Dina Cangi non è fatto però solo di luce ed ombra ma anche di materia. Una materia che si impone in tutta la sua consistenza plastica e in tutta la sua umana e corruttibile fisicità. Una materia che l'artista plasma, trasforma ed arricchisce con la complicità delle tecniche più varie e dei materiali più diversi. Così il senso di ambiguità, di mistero, di perenne scontro-incontro tra il mondo dello spirito e quello della materia., che pervade simbolicamente le opere dell'artista aretina, si traducono figurativamente e pittoricamente in immagini eteree quanto pregnanti, indefinite quanto corporee, oniriche quanto reali Icone che appartengono a mondi lontanti nel tempo e nello spazio: maschere arcaiche che provengono da epoche e luoghi remoti, brandelli di paesaggio avvolte in nebbie surreali, pagine di poesia bruciate, invecchiate, vissute dal tempo. Il tutto accompagnato dadal calore e dal magico incanto di musiche ancestrali, visibili, palpabili ma mute. Musiche da leggere e da toccare ma non da ascoltare.
Il mondo di Dina Cangi è invaso dal silenzio. O forse sono gli oggetti, con la loro prepotente fisicità, ad invadere questa visione che essa ci offre e che ne è metafora eloquente ed inequivocabile. Le immagii talvolta ricorrenti dei suoi dipinti rappresentano icone di un immaginario comune che viene continuamente elaborato e reinventato sotto gli stimoli di una accurata quanto fantasiosa ricerca stilistica e cromatica.