LUCREZIA LOMBARDO

Materico e leggero, lo stile di Dina Cangi traspone sulla tela i vissuti e le esperienze intellettuali, attraverso una rara maestria nell’uso del colore e di tecniche miste, tali da conferire ai lavori uno spessore tridimensionale. I cromatismi divengono, così, specchi nei quali il fruitore si riflette, sondando il mistero della materia e la sua alchimia visibile. Eppure, la materialità a cui Cangi mette mano, lavorandola, mischiandola e manipolandola, resta leggera e si dissolve in toni di luce, evocativi di una ricerca che è contemplazione. La concettualità delle tele informali diviene, perciò, un percorso introspettivo in cui il fruitore ritrova se stesso, lasciandosi trasportare dalla forza folgorante delle sagome in ombra e delle forme dissolte, emblematiche, che Cangi crea. Questo tipo di pittura sceglie tuttavia di essere perennemente in evoluzione, difatti, nel percorso artistico di Cangi si sono succedute molteplici forme espressive, che hanno spaziato dallo stile informale, sino al figurativo “nella stagione dei cieli”, o nella più recente “stagione astronomica”, nella quale l’autrice utilizza il colore per indagare le leggi fisiche, alla maniera di uno scienziato che osserva i fenomeni con una lente d’ingrandimento.
Lo sguardo verso la volta celeste diviene quindi una discesa nell’anima, come se, tra i due orizzonti, vi fosse una simbiosi: l’altezza delle nebulose e la loro invisibile struttura, è analoga a quella intimistica della psiche umana.
Particolarmente interessanti risultano le opere appartenenti al “periodo del cromatismo aureo” di Cangi, lavori in cui la ricerca della luce guida le linee, per dirigerle, ancora una volta, “verso l’alto”, come in un percorso ascensionale che è insieme pratico e mistico. Sulle tele, la pittrice riesce a dare la parola all’eternità, giocando come un fotografo con i priori scatti che, una volta immortalati, verranno sottratti allo scorrere del tempo. L’immobilismo dei dipinti diviene perciò atmosfera: osservando i quadri, il fruitore s’immerge in una dimensione sovrumana, lasciandosi toccare da una luce che tutto vivifica, eppure, nemmeno l’approdo alla scomposizione della luce costituisce, per Cangi, un traguardo definitivo e le sue opere restano in divenire, aperte a nuove ed ulteriori sperimentazioni, trasmutando di continuo, come la vita.